Articolo di ottopagine
Simone Togni dell’Anev: l’installazione
degli impianti è sottoposta a normative
rigorose
Avellino –
Quando si parla di energia eolica c’è sempre qualcuno che tira in ballo il far west, in virtù di una presunta espansione selvaggia degli impianti. Ma c’è anche chi accredita le installazioni di nefasti e misteriosi poteri, come quello di ipnotizzare le pecore o incidere negativamente sull’autostima di chi risiede nelle vicinanze. Leggende urbane per non dire sciocchezze, avvalorate con faciloneria da certa stampa e rimpallate a volte anche da alcuni esponenti politici, nel nostro caso dalla consigliera regionale, Rosa D’Amelio, in genere assai attenta alle tematiche che riguardano l’ambiente e l’energia, e in prima linea nella lotta alle trivelle.
Di questo, ma anche di molto altro, abbiamo discusso con il presidente dell’Anev (Associazione nazionale energia del vento), Simone Togni.
Partiamo proprio dal presunto far west rispetto alle installazioni degli impianti eolici…
«Evidentemente – dichiara Togni – si ignora il complesso quadro normativo. Grazie anche alle numerose iniziative intraprese dall’Anev, le imprese del settore si muovono all’interno di regole estremamente precise per non dire rigorose. In Italia ci sono in assoluto le leggi più garantiste per la tutela del paesaggio. E non solo. Infatti oltre alle autorizzazioni uniche, esistono anche protocolli volontari. Cito quello che prevede lo smantellamento degli impianti dopo la fine del ciclo produttivo. Ed è questa – quella del completo ripristino dei luoghi – una norma quasi esclusivamente italiana».
C’è anche dell’altro…
«Sì’. L’Anev ha escluso categoricamente la possibilità di installare impianti in territori con vocazione paesaggistica o avifaunistica. Una norma che non è invece in vigore per la produzione di altri tipi di energia. E quindi – per paradosso – in territori dove la tutela ambientale deve essere garantita, non è possibile realizzare impianti eolici, ma si possono attivare le trivelle per l’estrazione del petrolio o costruire delle raffinerie».
Torniamo al punto di partenza: come è stato possibile – in questo quadro normativo – sviluppare l’idea un far west rispetto all’eolico?
«Probabilmente questa immagine negativa è stata generata dallo sviluppo dell’unica esperienza imprenditoriale di grande successo negli ultimi anni in Italia. Fino a due anni fa – quando poi tutto si è un po’ fermato – la crescita del settore è stata costante. Oggi sono 39mila gli addetti dell’eolico. Quasi tutti residenti nelle zone dove sussistono gli impianti. E cioè territori disagiati e dove non possono esistere – per ragioni orografiche – altre attività imprenditoriali. Certo, l’aspetto estetico dei parchi eolici può risultare fastidioso, c’è una innegabile interferenza visiva. Ma quegli impianti, senza inquinare, producono energia elettrica, vitale per il futuro di questo Paese. Anzi, proprio ora stiamo vivendo una fase delicata…».
In che senso…
«E’ alle porte un inverno molto difficile. Le crisi in Siria e Ucraina mettono a rischio le forniture di gas naturale. E l’Italia è uno dei Paesi più esposti. Investire di più sulle rinnovabili avrebbe sicuramente ridotto la nostra fragilità a livello energetico».
Ma le comunità che ospitano gli impianti hanno dei vantaggi diretti?
«I benefici sul territorio sono di carattere ambientale oltre che industriale e occupazionale e ricadono principalmente sulle zone in cui gli impianti sono realizzati, con vantaggi economici per i proprietari terrieri, i lavoratori e le amministrazioni comunali che ricevono volontariamente delle percentuali sul fatturato tali da consentire loro il più delle volte di sanare i conti interni. Cosa che non avviene per nessun altro tipo di attività industriale per le quali i Comuni non chiedono percentuali sui fatturati».
Ci sono poi quelle richieste da parte delle amministrazioni sulle quali la consigliera regionale Rosa D’Amelio ha equivocato…
«Quando si parla di richieste da parte delle amministrazioni, si intende che notoriamente i soggetti responsabili degli iter autorizzativi si distinguono nel nostro Paese per la lungaggine delle decisioni.
Infatti il percorso autorizzativo dovrebbe concludersi in 180 giorni mentre la media in Italia è di 8/10 volte maggiore (cioè si arriva anche a 4 anni di attesa…) e queste lungaggini danno adito a richieste di ogni tipo che abbiamo negli anni potuto documentare; si va dalla richiesta di studi avifaunistici di 12 mesi (ovviamente dove gli uccelli non ci sono), alla verifica degli impatti delle installazioni sulle zanzare (sic!), passando per lo studio dell’ipnosi delle pecore dovuta da osservazione continua dell’aerogeneratore, fino alla disamina dell’impatto dei generatori eolici sull’autostima dei cittadini (non molto alti) abitanti nei dintorni del parco eolico che, notando la differenza di statura, ne vengono segnati nell’ego. E si potrebbe continuare se questi esempi, di quali bizzarre richieste le amministrazioni (e non gli amministratori) fanno agli imprenditori a causa del mancato rispetto dei tempi delle autorizzazioni».
Quanto incide l’eolico nella produzione di energia in Italia…
«Nel 2013 il 43 per cento dell’energia consumata in Italia proveniva da fonti rinnovabili. E di queste il 4,7 per cento da impianti eolici, il 25 per cento da centrali termoelettriche. Il resto: fotovoltaico, biomasse e altro».
Com’è la situazione rispetto ad altre nazioni?
«In Germania e Spagna, Paesi che hanno una ventosità simile a quella italiana, le installazioni sono rispettivamente 5 e 4 volte superiori. In altre Nazioni, come la Danimarca, l’energia eolica arriva a ricoprire il cento per cento dell’intero fabbisogno».
Perchè in Italia la crescita dell’eolico è in stand by da due anni?
«Lo stop è stato provocato dal ritorno dei vecchi produttori da fonti fossili (estrazioni petrolifere e gas). Un modello vecchio e perdente, che fa resistenza, ma che ha ancora un importante peso politico. Sulla questione l’ex presidente Usa Bill Clinton, in un incontro con i più importanti imprenditori nel settore delle rinnovabili ha detto: tenete duro, voi rappresentate il futuro. E’ solo questione di tempo, ma la vostra è la prospettiva vincente».
Tutti parlano e da anni di green economy come strada obbligata per il futuro. Ma…
«Tutti ne parlano, è vero. Ma a volte si ha l’impressione che molti politici non sappiano bene di cosa si tratti. Si limitano forse a ritenere chiusa la questione con la produzione di motori elettrici. Di certo – e questo è un dato che deve far riflettere – per la prima volta nella storia gli investimenti su questo settore hanno superato quelli a supporto della brown economy, l’energia tradizionale. Evidentemente è cambiato il paradigma».
Come si sta orientando il governo Renzi?
«La politica ha la necessità di trovare appoggi nei vecchi e ancora potenti sistemi. Ma ci lasciano ben sperare le nomine ai vertici delle holding di Stato. La direzione sembra quella giusta. Staremo a vedere».
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